Come interpretare l’intervento del presidente russo per il 9 maggio? Nessuna mobilitazione generale, ma possibile evoluzione verso un conflitto più muscolare e asimmetrico.
Come ogni 9 maggio – dal 1945 – la Russia anche oggi ha avuto il suo appuntamento con la storia e il ricordo: sentimenti in contrasto tra il dolore – per il sacrificio umano – e la gloria della vittoria.
Questa festa della vittoria nella grande guerra patriottica, però, portava con sè aspettative diverse dal solito. Assieme a quelli del mondo russo anche gli occhi della comunità internazionale tutta erano puntati sulla piazza Rossa, osservando con attenzione questo evento, anche se con prospettive diverse.
Da settimane si rimbalzano ipotesi e previsioni su quello che sarebbe potuto succedere sul campo proprio in previsione di questa data, come anche tante sono state le aspettative sul classico discorso del presidente russo Vladimir Putin che apre la consueta parata militare.
Aspettative e scenari
Aspettative e scenari – tra guerra totale e mitologia della vittoria – che sono saltati perlomeno per ora, se si rileggono le parole pronunciate dal palco che ospitava tra gli altri alcuni veterani del secondo conflitto mondiale.
Il discorso, sia nella terminologia sia nella sostanza, non si è per nulla discostato dalla narrativa che sostiene l’intervento militare in Ucraina.
Il pilastro principale, con il quale Vladimir Putin ha aperto, è stato quello del ruolo della Russia nel sostegno alla stabilità internazionale globale e indivisibile, rimarcando come il suo deterioramento non sarebbe dipeso dal volere di Mosca.
Secondo punto cruciale è quello sul carattere dell’intervento militare in corso. Nella visione di Putin questo è stato definito preventivo – e in aggiunta giusto e necessario – a causa del rischio (presunto) di attacco delle forze NATO per mano Ucraina sulla Crimea.
In chiusura, poi, un richiamo ai valori della Russia e del suo popolo, l’amore per la patria e la difesa dei valori costruiti in seguito alla fine del secondo conflitto mondiale e a come questi sarebbero stati traditi dall’occidente che vorrebbe riscrivere la storia.
I segnali per il futuro
Da queste parole non si percepisce altro che un rinforzo della narrativa e retorica del conflitto esistente senza – per ora – alcun segnale sulle mosse del prossimo futuro.
Tenendo conto di questo discorso e della situazione sul campo l’interrogativo che rimane ancora senza risposta è quello sul futuro del conflitto e sulla sua portata.
Tramontata (se mai presa in considerazione) – come già anticipato nell’ultimo contributo – l’idea di una mobilitazione generale, non è ancora da escludere quella parziale. Questa potrebbe dipendere dall’evolversi degli eventi non solo nelle aree di conflitto aperto nel Donbass, ma soprattutto a ciò che potrebbe accadere in Crimea. Spesso si è fatta strada l’idea da parte del governo di Kiev di lanciare un attacco simbolico quanto strategico verso il ponte che unisce la Russia continentale alla penisola di Crimea, inaugurato proprio da Putin.
Difficile che la Russia rilanci
Da quanto si percepisce dallo stato attuale delle operazioni militari, la Russia non sarebbe in grado di fermarsi e mantenere le posizioni acquisite in modo da poter rilanciare nuovamente. Le forniture di artiglieria e materiale tecnico che i partner NATO stanno convogliando verso Kiev la rendono più pericolosa anche sul lungo raggio.
Da qui l’ipotesi di un conflitto più muscolare e asimmetrico, che potrebbe colpire target sparsi su tutto il territorio Ucraino. Obiettivo di questa strategia: condurre di nuovo Kiev al tavolo delle trattative in modo da congelarlo e renderlo simile a quello iniziato nel 2014.
Mosca potrebbe giocare anche la carta della destabilizzazione dei Balcani, dove da tempo coltiva un suo piano specifico. Ma su questo ci riserviamo un’analisi a sé.