Carlo Piasentin e Ilse Mazzocut accolgono i clienti in un luogo ricco di passione e di gusto, con sapori al tempo stesso semplici e ricercati. Vale la pena fermarsi e godere di una coccola del palato, del naso e degli occhi. Anche solo la carta dei vini meriterebbe il viaggio.
È uno di quei posti talmente inaspettati che proprio per questi diventano geniali. E quindi, il ristorante Novecento all’Isola merita di essere nella rubrica di Appunti Golosi.
Prima di tutto la posizione: Palazzolo dello Stella, provincia di Udine, poco fuori dall’uscita dell’autostrada A4 di Latisana. Ad una ventina di chilometri dal mare di Lignano Sabbiadoro e a un’oretta dalle Alpi Carniche. Un posto strategico per una vacanza, ma sicuramente insolito.
La campagna americana
La sensazione è quella di un luogo non luogo, cioè, uno di quelli da film americani persi in mezzo alla campagna. Un po’ curioso, un po’ inquietante, ma anche bello esteticamente. Circondato da ortensie e piante di lavanda, con una vite che corre lungo il patio.
Entrando si ha subito l’impressione di un ambiente curato, anche se non sfarzoso. E la cura dei dettagli, ma senza quell’eccesso di formalismo che talvolta si riscontra nei ristoranti stellati e che finisce per risultare un po’ respingente, è la cifra che caratterizza un po’ tutti gli aspetti del Novecento all’Isola: ambiente, apparecchiatura, servizio, cucina e – non ultima – la carta dei vini, che già di per sé meriterebbe il viaggio.
Un ristorante con un’anima
Il Novecento all’Isola è gestito da Carlo Piasentin e dalla moglie Ilse Mazzocut, che ne sono indubbiamente l’anima. La sensazione, entrando in questo luogo, è quella di essere stati invitati a casa loro. Un modo di fare apparentemente un po’ sbrigativo, ma in realtà attento. Un po’ riservato e, allo stesso tempo, entusiasta di poter raccontare le proprie scoperte culinarie, gastronomiche ed enologiche. E perché no, anche un po’ la loro storia, con un pizzico di timidezza, tipica del popolo locale.
Lui è lo chef, maître, sommelier e commis. Lei è la locandiera, con un’immagine un po’ aulica un po’ romantica, un po’ moderna di signora che torna dalla campagna con un mazzo di margherite, pronta per un doccia e una gara di golf.
Il locale: una veranda sul giardino
L’arredamento è molto simile a quello di una veranda di casa. Muri in pietra e mattoni che si alternano a grandi finestre che danno sul giardino, credenze in legno vecchio, tavoli ampi e distanziati, apparecchiati con semplicità, ma con molta cura. Tappeti, lampade e lampadari, fiori e soprammobili a dare un tocco personale agli ambienti.
Voglia di sperimentare in cucina, ma restando fuori moda
Il bello però arriva ora ed è il menù, insieme alla carta dei vini. Influenze locali e voglia di sperimentare, fuori dalle mode, fuori dalle tendenze, fuori dalle immagini da social.
L’ampia carta dei vini mostra una passione rara per Bacco: molte etichette locali che scavallano anche in Austria, Croazia e Slovenia. Molta Francia e molto Alto Adige.
Qualche chicca come il Timorasso Sterpi 2006 o il friulano Rosso della Centa 2001, Borgo del Tiglio. I vini rossi divisi per vigneti e non per regione (e il Pinot Nero la fa da padrona).
Carne e pesce locali, ma con influenze francesi
Un menù di pesce e di carne. Ad accogliere un amuse-bouche di polpetta di pesce con pomodori pelati che imbonirebbero anche il più accaldato dalla peggiore estate dal secolo dei secoli.
Qualche insalata decisamente stuzzicante, diversa dalle solite verde o mista. Come quella con anguria, melone, cetrioli e pomodori e una spruzzata di aceto di sambuco. “Spruzzato” ci spiega Carlo “perché si deve sentire il profumo del sambuco”.
La cucina locale la fa da padrona. Come il frico, ma in versione rivisitata: una mille foglie con le patate chips a creare gli strati e una salsa di cipolle a condire il tutto. O il risotto di Go, con il ghiozzo, un pesce della laguna molto saporito e poco conosciuto, e sono pochi anche quelli che ancora lo cucinano.
Grande rispetto per la materia prima
La lavorazione della materia prima è minima. Gli ingredienti si sentono, i piatti sono caratterizzati da accostamenti studiati nei dettagli, talvolta quasi scomposti affinché ogni minimo elemento si possa sentire e scoprire.
La delicatezza con cui sono assemblati, il racconto che li accompagna, la gioia nello scoprire la corrispondenza tra occhi, naso e bocca sono unici. Non sempre sono una sorpresa, ma si prova comunque l’entusiasmo di chi scopre cose nuove. Questi sono tutti elementi che raramente si trovano in un pasto.
Al momento di alzarsi non si vorrebbe andarsene, perché la sensazione è quella di essere stati coccolati, massaggiati, accuditi, quasi cullati per un’ora e passa. Un luogo rilassante, lento e, allo stesso tempo, nuovo e moderno. Un profondo attaccamento al territorio, alla cucina locale, ai vini del luogo, pur spaziando molto Oltralpe. Da provare a pranzo per una soste rigenerante durante un viaggio in autostrada. Da provare a cena per farsi coccolare con tutta la calma del mondo e concedersi qualche licenza in più nel piatto e nel bicchiere.