ACBC crea calzature con materiali riciclati e scarti dell’industria agricola e del mare. Produce per molti brand del lusso e sta rivoluzionando il mondo della moda.
Difficile dire quale sia l’aspetto più curioso. Se il fatto che per realizzare le loro scarpe utilizzino anche scarti provenienti dall’industria agricola e dal mare, compreso ciò che resta dell’uva utilizzata per la produzione del vino, bucce di banana, alghe, amido mais, cactus e gusci di ostriche. Se il fatto che i più importanti marchi del lusso, da Missoni alle altre Maison i cui nomi sono coperti da rigidi accordi di riservatezza, stiano inseguendo questa piccola startup chiedendo di essere supportati per l’ideazione e il lancio di nuove linee di scarpe sostenibili. O se il fatto che in soli quattro anni di attività questa realtà con una ventina di dipendenti sia riuscita a imporsi come punto di riferimento a livello globale in un processo destinato a trasformare il mondo della calzatura.
Una rivoluzione per il mondo della moda
Ciò che è certo, è che ACBC, startup milanese il cui nome è acronimo di Anything Can Be Changed (Trad: tutto può essere cambiato) “rischia” di diventare per il mondo della moda ciò che Tesla è stata per il mondo dell’auto: quello che gli americani chiamano Game Changer e che dalle nostre parti potremmo rendere con “un rivoluzionario che cambia le regole del gioco”. Fondata nel 2017 da Gio Giacobbe ed Edoardo Iannuzzi, rispettivamente ex direttore generale per l’Asia di Trussardi ed ex designer con sede a Londra, ACBC è infatti riuscita a ricavarsi una nicchia ad altissimo valore aggiunto in un comparto che a livello mondiale è caratterizzato dalla cifra monstre di 23 miliardi di scarpe prodotte all’anno.
“La nostra idea è stata quella di portare un supporto green nel mondo della moda, che all’apparenza è un comparto molto dinamico, ma che in realtà è molto conservatore”, spiega Gio Giacobbe, che dietro a modi cordiali e misurati nasconde un vero e proprio vulcano di idee creative e genialità. L’obiettivo? Introdurre il tema della sostenibilità in quello che rappresenta uno dei settori industriali più inquinanti che ci siano.
Le Zip Shoes e il successo su Kickstarter
“Con Edoardo Iannuzzi provammo a progettare delle scarpe, le Zip Shoes, che grazie a una cerniera lampo consentivano di cambiare la tomaia salvando la suola, che è poi la parte della scarpa che impatta di più in termini di produzione di CO2”, prosegue Giacobbe. Un’idea il cui successo superò qualsiasi previsione: messe su Kickstarter, un sito web americano creato per fornire finanziamento collettivo per progetti creativi, le Zip Shoes registrarono in poche settimane milioni di visualizzazioni e un milione di dollari di pre-ordini.
I due ideatori decisero così di lasciare i rispettivi lavori e di rientrare in Italia per dedicarsi al progetto. “Oltre al design ci concentrammo molto sulla ricerca di nuovi materiali, consapevoli del fatto che dar vita a una nuova azienda con paradigmi del passato sarebbe stata una follia. Noi abbiamo lavorato guardando al futuro, cercando di bilanciare etica, estetica e prezzo”, riassume Giacobbe.
L’obiettivo: essere green senza compromessi
Il risultato? “Noi progettiamo le nostre scarpe già sapendo che andremo a utilizzare materiali riciclati, bio based e animal free, e fin dalle primissime fasi pensiamo a come le scarpe potranno essere riciclate una volta arrivate a fine vita”, spiega Marco Fedrigo, Head Designer di ACBC. Una cosa che nessuno aveva mai fatto, così come rivoluzionaria è stata la scelta di essere fin dall’inizio sostenibili e trasparenti sotto tutti i punti di vista: materiali, packaging, processi di produzione, fornitori, ma anche inclusività e rispetto per i lavoratori.
“Siamo l’unica B Corporation in Italia nel mondo della calzatura e il fatto di aver deciso, nel 2019, di mettere il nostro know-how, che comprende tre brevetti e tantissima ricerca, al servizio di altre aziende ci ha portato moltissime richieste di collaborazione da realtà leader nel footwear”, spiega Riccardo Aragona, Chief Marketing Officer. In soli due anni sono infatti 27 le collaborazioni in co-branding avviate con aziende del calibro di Missoni, Diadora, Geox, Save The Duck, Piquadro e tanti altri marchi del lusso. E nuove opportunità si aprono a cadenza settimanale, tanto che la produzione – arrivata a quota 280 mila paia di scarpe all’anno, il 50% delle quali in co-branding – è in costante crescita.
Il futuro? Quotarsi in Borsa negli USA
Nessuna sorpresa, quindi, che i negozi monomarca di ACBC a Milano, Amsterdam, Pechino e in altre città, “i primi completamente dedicati ai green product di lusso”, sottolinea Aragona, siano il punto di riferimento a livello globale per gli altissimi standard in termini di sostenibilità. Nè che tra i progetti di crescita per il 2022, che comprendono l’apertura di due nuovi store a Londra e New York ci sia anche la quotazione in Borsa negli Stati Uniti, dove la startup milanese sarebbe la prima B Corporation europea nel mondo della moda a quotarsi.