Save The Duck ha rivoluzionato il settore moda adottando materiali tecnici impiegati da tempo nell’abbigliamento outdoor senza rinunciare alla qualità estetica dei piumini
La loro papera stilizzata si è ormai imposta nell’immaginario comune alla stregua dei loghi di marchi di abbigliamento presenti sulla scena da decenni. Pur essendo stato lanciato solamente 12 anni fa, il brand milanese Save the Duck ha infatti conquistato molto rapidamente un posto in prima fila nel mondo del fashion globale. Lo ha fatto grazie a un’intuizione che ha messo insieme marketing e vera sostenibilità sociale e ambientale, puntando per primo su prodotti animal-free e su cicli produttivi volti a ridurre il più possibile l’impatto delle attività aziendali sull’ambiente.
“La nostra in verità è un’azienda storica del settore tessile (nata nel 1914 con il nome Forest, Ndr), per cui io sono il rappresentante della terza generazione in questa realtà fondata da mio nonno”, spiega Nicolas Bargi, fondatore e amministratore delegato di Save the Duck. “Quando io ho cominciato a lavorare con mio padre, negli anni Novanta, ho viaggiato moltissimo tra Cina, India, Pakistan e Bangladesh per visitare i siti di produzione, portandomi a casa tante informazioni, talvolta anche dure, rispetto all’utilizzo delle risorse umane, animali e ambientali”.
Da quell’esperienza è progressivamente maturata l’idea di cambiare approccio. E così, quando nel 2012 Nicolas Bargi ha preso le redini dell’azienda, ha deciso “di ristrutturarla e valorizzare quegli aspetti che il mondo dell’abbigliamento outdoor già valorizzava, a partire dal rispetto degli animali e dell’ambiente, lanciando questo nuovo marchio”, racconta.
La rivoluzione del settore moda
Una piccola/grande rivoluzione per il settore moda, nel quale il tema dell’impatto ambientale resta una nota dolente e nel quale i capi non in piuma in passato erano stati percepiti generalmente come articoli di basso valore. “Noi, invece, abbiamo voluto puntare su un posizionamento alto e una distribuzione premium, facendo una scelta che non era solo etica, ma anche tecnologica, perché il sintetico ha delle caratteristiche tecniche che la piuma non garantisce, tanto che i capi da sci e da alpinismo sono già da molto tempo realizzati con questi materiali tecnici”, spiega Bargi.
A fare il resto è stata la capacità di proporre dei capi con un taglio molto apprezzato, morbidi e piacevoli da indossare. Inizialmente soprattutto piumini imbottiti con fibra sintetica iniettata con la stessa tecnica utilizzata per la piuma. “Siamo stati i primi a farlo, e il consumatore ha percepito un bel capo al giusto prezzo e lo ha subito apprezzato, scoprendo il senso della papera arancione solo dopo i primi 3-4 anni”, racconta il fondatore.
Un brand globale presente in 44 Paesi
Da lì al successo per Save the Duck, che nel 2019 è stata la prima azienda fashion in Italia ad ottenere la certificazione B Corp, il passo è stato brevissimo. Ancora prima che la sostenibilità e i criteri ESG diventassero argomenti del sentire comune.
Oggi il brand meneghino è presente in 44 paesi, dagli Stati Uniti all’Europa, da Hong Kong al Giappone. L’azienda, che ha un centinaio di dipendenti tra il quartier generale milanese e gli store monomarca distribuiti nel mondo, lo scorso anno ha fatturato 64 milioni di euro e quest’anno punta a una crescita che sfiora il 20%, a quota 76 milioni di euro.
La mostra fotografica in centro a Milano
Nel futuro a medio termine, però, c’è una crescita ancora più spinta. Dopo l’ingresso come azionisti di maggioranza di Reinold Geiger e André Hoffmann, rispettivamente presidente esecutivo e ceo di l’Occitane International, Save the Duck punta ad aprire 50 nuovi store in tutto il mondo e raggiungere quota 200 milioni di euro di fatturato entro i prossimi 5 anni.
Tutto senza dimenticarsi quel legame con la sostenibilità a tutto tondo che ha caratterizzato il brand fin dall’inizio. Fino al 15 giugno in centro a Milano (in via Luca Beltrami) è infatti visitabile gratuitamente la mostra con i ritratti realizzati dal fotografo internazionale Alessandro Bergamini nell’ambito del progetto Nothing Like Water, lanciato lo scorso anno da Save the Duck per sostenere l’impegno della Sumba Foundation, organizzazione indonesiana attiva sull’omonima isola con l’obiettivo di rendere possibile a tutta la popolazione locale l’accesso a una risorsa preziosa come l’acqua. Perché la sostenibilità si declina anche così.