Da sempre incarna l’immagine del lusso proveniente da Paesi lontani come la Russia e l’Iran. Eppure oggi il caviale più consumato al mondo è italiano. Anzi, lombardo.
Potrà anche sembrare incredibile, eppure le cose stanno proprio così. E il merito è di Agroittica, azienda con sede a Calvisano, comune con poco più 8 mila abitanti a Sud-Est di Brescia, che in poco più di quarant’anni è diventata leader mondiale conquistando anche i mercati di Russia, Francia, Stati Uniti e Giappone con il caviale venduto con il marchio Calvisius.
Tutto ha inizio nei primi anni Settanta, quando i soci di un’acciaieria di Viadana di Calvisano intuiscono l’opportunità di sfruttare il calore residuo della produzione dell’acciaio per stabilizzare la temperatura dell’acqua di un allevamento ittico. L’idea iniziale è quella di allevare anguille, una specie che in quegli anni è ancora molto apprezzata, ma che con il passare del tempo perderà progressivamente popolarità.
“Di fatto fummo i primi in Italia a lanciare un progetto di quella che oggi si chiama produzione integrata”, spiega Mario Pazzaglia, biologo e memoria storica dell’azienda. “Grazie a uno scambiatore di calore, infatti, l’energia termica del processo siderurgico viene tuttora trasferita alle acque di falda che sgorgano all’interno della proprietà, consentendo di regolare la temperatura dell’acqua e di creare un habitat ottimale per diverse specie ittiche pregiate”.
Trattandosi di un progetto sperimentale, l’azienda decise di provare ad allevare diverse specie. Tra queste anche lo storione che, a differenza di quanto si pensi, non è originario solo di Paesi esotici e lontani, ma “esisteva in pianura padana con tre diverse specie, tanto che già nel Rinascimento abbiamo testimonianze scritte della preparazione e consumo di caviale in Italia”, sottolinea Pazzaglia.
Una valorizzazione delle origini, quindi, che però rimase marginale rispetto all’allevamento di anguille fino agli anni Ottanta. Fu allora che venne avviata una sperimentazione per l’allevamento di storioni su vasta scala con l’Università di Davis, in California, e con il professor Serge Doroshov, un biologo russo che si era rifugiato negli Stati Uniti dopo essere fuggito dal proprio Paese, dove aveva acquisito un prezioso know how sull’allevamento degli storioni.
“La vera svolta ebbe luogo tra la fine degli anni Novanta e i primi anni Duemila”, ricorda Pazzaglia, quando la Cites, la Convenzione di Washington sul commercio internazionale delle specie di fauna e flora selvatiche minacciate di estinzione, inserì tutte le specie di storione nella lista di specie da tutelare. Vennero introdotte quote massime di pesca per ogni Paese, con la conseguenza che cominciò ad aumentare l’interesse per l’allevamento, cosa che fino ad allora non era stata considerata perché il ciclo di produzione era troppo lungo e costoso”.
Perché uno storione arrivi al giusto punto di maturazione per la produzione del caviale sono infatti necessari molti anni. I tempi, a seconda della specie di storione e delle sue dimensioni, variano da un minimo di sette anni per lo storione siberiano a un massimo di venti anni per quello beluga.
“Fu in quella fase che l’azienda, che stava decidendo come sostituire definitivamente l’allevamento dell’anguilla e che produceva alcune centinaia di chili di caviale, in parte in collaborazione con grandi chef come Gualtiero Marchesi, decise di buttarsi nell’allevamento su larga scala dello storione per produrre caviale”.
Da lì al successo planetario il passo fu breve. Nel giro di pochi anni la produzione di caviale raggiunse quota 23 tonnellate, arrivando a coprire oltre un quarto del mercato mondiale che nei primi anni Duemila ammontava a 85 tonnellate (tra selvaggio e allevato, Ndr). Poi, dal 2006, con il primo blocco della pesca di storioni in ambiente selvatico, tutt’ora operativo anche se nel corso degli anni ci sono state brevi interruzioni, la consacrazione definitiva come leader nel mercato mondiale.
Oggi (dato riferito al 2018, Ndr) l’azienda bresciana produce 28 tonnellate di caviale all’anno. L’export assorbe il 90% della produzione, e il caviale lombardo è presente in decine di ristoranti stellati in Italia e all’estero, nei negozi di alimentari più esclusivi di New York, Parigi, Tokyo, Londra e Mosca, e nelle first class del 70% delle compagnie aeree mondiali.