Il periodo di restrizione prosegue e si cercano alternative più o meno lecite per cercare di evadere. L’Islanda può essere un’opzione: promuove il turismo degli smartworker e invita a soggiornarvi per almeno sei mesi. Il rischio? Decidere di non tornare più indietro.
Nel percorso per scappare dai vari lockdown c’è un Paese geniale, che ha pochi contagi e che ha deciso di accogliere chiunque abbia voglia di libertà. Ecco quindi un’ipotesi alternativa per non impazzire dentro le proprie quattro mura: l’Islanda.
Per rimediare al mancato introito del settore turistico dovuto al Coronavirus, il Paese della cantante Björk accoglie gli smartworker di tutta Europa e promuove visti per soggiorni fino a sei mesi per cittadini extra-Schengen. E quale posto scegliere se non uno dei più sicuri al mondo? Dall’inizio della pandemia i decessi sono stati 26 e i contagi 5.400.
Cercare di capire gli islandesi è in effetti un esercizio affascinante. L’islandese è una persona gentile, taciturna, che va alla sostanza, ma è anche molto approssimativo, fatalista, rilassato. Forse secoli di vita vissuta assoggettato al clima hanno reso questo popolo rassegnato a vivere secondo la natura: mesi di luce non-stop e mesi di rigido e gelido buio potrebbero mandare al manicomio chiunque, oppure farlo diventare un vero genio. Individualismo misto a solidarietà è l’unica chiave per la sopravvivenza sociale. Tra l’altro, l’Islanda ha espresso ben tre miss Mondo, ma è probabile che ora siano allevatrici di pecore, o anche capi di Stato, visto che questo è stato il primo paese al mondo ad avere una donna democraticamente eletta nel ruolo di presidente. Che tu sia donna o uomo, non importa, qui tutti fanno tutto.
Pagaiare tra le foche, il perfetto equilibro tra uomo e animale
Nulla sorprende gli islandesi, nemmeno una foca che gioca a favore di pubblico in un lago cosparso di iceberg. Pagaiare tra questi teneri animali, in un fiordo, nel bel mezzo dell’oceano Atlantico, potrebbe essere una delle emozioni più grandi che la natura riserva all’uomo. Le foche si avvicinano alla canoa come se fossero in attesa del pubblico per mostrare il loro spettacolo: tuffarsi, nuotare, andare a caccia di pesci e, se ci si allontana per il timore di spaventarle, si offendono. Questa è un po’ l’essenza dell’equilibrio tra uomo e natura e della loro convivenza: nessuno ha paura dell’essere animale, di qualunque specie. Esiste solo la regola del più forte, che spesso mangia il più debole, uomo compreso.
Poco cibo, ma di qualità
Qui i cibi sono prelibatezze rare e delicate, oppure orribili tradizioni popolari. I menù si compongono di agnello, salmone, skyr (una sorta di yogurt iperproteico senza grassi), squalo putrefatto, zuppe. Le verdure sono merce esotica. La birra che si produce è la più pura al mondo, la Kaldi, perché è fatta con le acque del ghiacciaio del centro dell’isola. C’è chi ha provato ad esportarla in Europa, ma nulla da fare. Gli islandesi se la producono e gli islandesi se la bevono.
In questa isola il pesce non è tra le specialità, ma c’è un porticciolo verso Sud famoso per la pesca delle arogostelle: Höfn. Il villaggio cresce in una piccola penisola dalla quale, con un grosso cannocchiale e una bella giornata di sole, si possono scorgere il Canada, la Danimarca e la Norvegia. Le aragostelle sono dei giganti gamberi con chele e carapaci molto duri che vengono cucinati alla griglia e serviti con burro all’aglio. Sono dolci, polpose, succose, si sfilano delicatamente dalla coda e si mangiano rigorosamente con le mani. Aprés ça, le deluge (Dopo questo, il diluvio), direbbe Luigi XV.
Pozze di acqua calda e piscine pubbliche come luogo per socializzare
Sorprende il fatto che un Paese così piccolo, così freddo, così pieno di ghiaccio sia in fondo così ricco e allo stesso tempo rude. Qui le civiltà di tutto il mondo trovano rifugio da guerre e pandemie. Un luogo dove ogni giorno si combatte per sopravvivere e in cui la cultura scandinava si mischia ad un’esistenza selvaggia, sempre in contraddizione. Dopo una distesa di ghiaccio eterno, si possono incontrare persone che nel bel mezzo del nulla si dilettano a fare il bagno in una pozza di acqua calda, spuntata spontaneamente tra i campi. La più famosa (e la più turistica) è la Blue Lagoon, vicino a Reykjavik, pozze di fango ribollente miste a vapore che sale da sfiati nel terreno.
L’acqua calda del terreno qui è considerata una divinità. Dai Geyser (incredibili esplosioni della terra che si esprimono in zampilli di acqua bollente che si inerpicano per metri fino a bagnare tutti i sottostanti), alle piscine comunali, veri e propri luoghi di socializzazione, dove spesso si va nudi, ma se si preferisce il costume, va bene comunque. L’importante è lavarsi bene prima di entrare in acqua e non indossare ciabatte, perché sono poco igieniche. Se si hanno le verruche, semplicemente si resta a casa.
Nelle piscine, che in Italia chiameremmo terme – ogni città ne ha una ed è un luogo a gestione pubblica con biglietto di accesso che varia tra i 5 e i 10 euro – ci sono diverse vasche a diverse temperature, dal ghiaccio puro ai 42°.
La piscina, in Islanda, è come l’aperitivo milanese, con la sola differenza che non ci si trucca e non si indossano paillettes. Il manager è come l’impiegato, perché entrambi, se indossano il costume, lo avranno sicuramente molto simile: boxer nero ascellare per gli uomini, bikini con bretelline stile nonna per le donne (in alternativa costume intero con le coppe). Qui vengono famiglie, single, adolescenti e amici, tutti uguali, tutti per motivi diversi e a nessuno interessa, perché nessuno guarda, nessuno giudica.
Arrivare con la propria auto
Gli islandesi sono per lo più di mentalità socialista ed egalitaria, la cultura si evolve secondo le leggi della sopravvivenza della specie umana, dell’essenziale: ci si arrangia, non ci si dà fastidio, ma se si può ci si aiuta, perché un giorno chiunque potrebbe averne bisogno. Le case possono essere a centinaia di chilometri di distanza e se si rimane impantanati, magari con un telefono scarico, si può anche rischiare la vita.
È importante quindi avere sempre con sé un buon powerbank. Secondo consiglio: se volete passare qui le vostre giornate lavorative in attesa che passi la pandemia, arrivateci in automobile. Attraversate tutta l’Europa fino ad arrivare in Danimarca, che lascerete via mare a bordo della Norrona, il mega traghetto che trasporta camperisti, motociclisti e cibo fresco proveniente da tutto il continente.
Dopo due giorni di viaggio a suon di birra, bingo e scopone scientifico, dopo aver sfilato le isole Shetland e avere fatto tappa alle Faroe, si arriva a Seydisfjordur, il porto più importante del paese e dopo Reykjavik forse il posto che assomiglia di più ad un luogo civilizzato. Qui si possono affittare delle case per brevi periodi, anche la farmacia si trasforma in residenza temporanea se serve. La scena culturale è incredibilmente vivace, con un centro artistico, un museo sul patrimonio locale e gli unici due cinema della parte orientale dell’isola. L’artista di fama mondiale Dieter Roth qui aveva uno studio. C’è anche un locale dove si può mangiare una pizza decente, gestito da un italiano. Ma non fatevi ingannare.
Innamorarsi di quest’isola
Respirate e sentite se questa aria vi piace prima di scavallare il monte Bjólfur e decidere di vivere il resto dell’isola, perché troverete una strada, una unica strada che gira attorno all’isola, la Ring Road. Troverete poche persone, poche case e un’infinità di pecore nei mesi estivi, d’inverno distese di bianco. Non ci sono alberi, solo colline e vulcani che si scorgono all’orizzonte e che ogni tanto sbuffano. Si potrà anche incontrare un distributore di caramelle in mezzo al nulla, una piccola casetta verde che costantemente viene rifornita di Haribo e di palline di cioccolata.
Se si decide quindi di passare qui il vostro periodo lavorativo forzatamente casalingo, fate molta attenzione: l’Islanda si può amare profondamente, e il serio rischio è quello di non voler mai più tornare indietro.