In Italia gli effetti della pandemia sull’occupazione sono stati particolarmente pesanti, nonostante il blocco dei licenziamenti stia di fatto impedendo di cogliere la reale dimensione dell’emergenza. Rasizza, di Assosomm: “Il Governo conta di affrontare la crisi affidandosi ai Centri per l’impiego pubblici, ma l’esperienza dimostra che le Agenzie private sono molto più efficaci nella gestione dell’incontro tra domanda e offerta di lavoro”.
L’Inps ha recentemente comunicato i dati a relativi al mercato del lavoro in Italia negli ultimi 10 mesi del 2020 e quello che emerge è una situazione drammatica: 31% in meno di assunzioni nel settore privato con un picco ad aprile che ha toccato quota -83%. La contrazione, rileva sempre l’Inps, è stata minore in corrispondenza dell’allentamento delle misure restrittive nei mesi estivi, scendendo sotto il 20% e permanendo sotto questo livello anche a ottobre (-18%). Tra luglio e agosto, la tendenza è stata addirittura positiva, segno evidente che mettendo le imprese italiane nelle condizioni di lavorare, queste hanno la capacità di produrre reddito e occupazione.
Centri pubblici e agenzie private
Non solo, le aziende private, intese come Agenzie per il Lavoro, società di recruitment e outplacement, hanno dimostrato anche capacità di trovare lavoro per le altre, gestendo al meglio domanda e offerta. Un quadro decisamente diverso da quello offerto dai Centri per l’impiego pubblici, che da quando esistono hanno prodotto risultati insoddisfacenti.
Di questo è convinto Rosario Rasizza, Presidente di Assosomm (l’Associazione italiana della Agenzie per il Lavoro) e profondo conoscitore del mercato. “Le Agenzie per il Lavoro sono sicuramente uno strumento utile per unire domanda e offerta e per offrire percorsi di formazione: gli attori ideali in questo contesto di mercato, visto che conoscono bene sia chi cerca, sia chi offre lavoro. Possono quindi essere un partner efficace per il Governo e per le aziende italiane”.
Le difficoltà organizzative
La disoccupazione in Italia, infatti, non è solo dovuta alla crisi economica, ma anche alla mancanza di capacità organizzativa. “Nel nostro Paese, per tutta una serie di motivi ormai direi strutturali e legati a retaggi del passato, molte aziende che cercano personale non lo trovano per quella che viene definita in gergo tecnico Skill Shortage e cioè l’impossibilità di riempire posti vacanti perché mancano le professionalità adeguate e non il lavoro”, prosegue Rasizza. Serve quindi un cambio di passo. Ma ciò che ha in mente il Governo per gestire la situazione occupazionale, in particolare tramite i fondi Europei del Recovery Plan, non sembra andare nella giusta direzione.
Gli errori di impostazione sull’utilizzo dei fondi EU
“Nell’ultima versione circolata sul piano del Governo” spiega il presidente diAssosomm “emerge che dei 209 miliardi di euro a disposizione dell’Italia, oltre 12 siano destinati alle politiche attive per il lavoro. Di questi, circa la metà, da dividersi più o meno equamente per i Centri per l’Impiego e la formazione. Prima di entrare nel merito dell’utilizzo di questi fondi in tema di lavoro, mi preme sottolineare che in Italia viene impropriamente usato il termine “Recovery Fund”, quando invece, lo strumento cardine del pacchetto Next Generation EU che mira a mitigare l’impatto economico e sociale della crisi legata al Covid-19 si chiama “Recovery and Resilience Facility” e non Fund”.
Non si tratta di un gioco di parole, ma di una differenza sostanziale. Perché la Commissione Europea parla di risorse destinate a finanziare progetti concreti, che saranno poi monitorati passo dopo passo, e che devono avere obiettivi ben precisi e risultati prevedibili e misurabili.
La fine del blocco dei licenziamenti: una bomba pronta a esplodere
“I piani degli altri Paesi prevedono già percorsi dettagliati di sviluppo e soprattutto iniziative già concordate con le parti sociali, in particolare quelle imprenditoriali”, sottolinea Rasizza, “che hanno potuto esprimere il loro parere fornendo spunti per rendere concreti i vari passaggi. In Italia, per ora, tutto questo non è avvenuto. E leggere che i Centri per l’Impiego, così come sono stati strutturati finora, siano al centro del progetto sul lavoro ci fa pensare che ci sia ancora molto da fare”.
Nel frattempo, tra crisi di Governo e tensioni tra le forze politiche, si avvicina il 31 marzo 2021, termine del blocco dei licenziamenti. E anche se già si parla di una proroga al 30 aprile, la preoccupazione per ciò che accadrà non appena la misura sarà eliminata si fa ogni giorno più grande.