Mentre le attività militari si intensificano, se l’Europa cerca la pace non può pensare di farlo attraverso la guerra, ma deve entrare nell’ottica di portare al tavolo delle trattative anche Pechino.
In giornate come queste il compito dell’analista è difficile quanto pieno di insidie perché bisogna mantenere un certo distacco dal flow giornalistico – utile per raccontare determinati eventi, meno nel fornire un framework di analisi critica.
Cercheremo qui in breve di descrivere l’architettura dei colloqui di pace di ieri e i possibili scenari dei prossimi giorni.
Come è noto non senza difficoltà l’organizzazione dei colloqui di pace al confine bielorusso-ucraino ha raggiunto quello che potremmo definire un obiettivo fondamentale: parlarsi.
Un tavolo delle trattative asimmetrico
Il primo dato che possiamo evidenziare è la disparità in termini di rilevanza mediatica delle delegazioni inviate. Questo, ovviamente, non avrà conseguenze strategiche, ma sicuramente giocherà da fattore sugli equilibri dei singoli incontri.
Dato invece importante a livello di analisi politica interna alla Russia è l’assenza di un diplomatico a gestire il dossier; questo evidenzia quanto la frattura interna alla leadership sia profonda e come nello spoiling system delle élite al potere quella dei diplomatici sia stata completamente estraniata – al momento.
L’aver trovato punti di interesse reciproco, come dichiarato da entrambe le delegazioni a fine lavori, non significa che questi siano dei pilastri su cui fondare le basi per un accordo di pace. Le richieste di fondo da entrambe le delegazioni erano troppo ambiziose per far ben sperare – come molti hanno fatto in Europa – in un buon esito immediato degli incontri.
L’intensificazione delle attività militari
Infatti, entrambi i Paesi hanno intensificato le attività militari sul territorio sia durante che dopo la fine dei negoziati, modificando di fatto lo status quo antecedente ai colloqui.
La distanza indefinita in termini temporali tra il primo round di incontri e il successivo mostra come l’interesse generale sia da un lato di guadagnare tempo e risorse (Ucraina) dall’altro guadagnare terreno e posizioni strategiche (Russia). Questo per avere un potere contrattuale più forte ai prossimi incontri.
Quello, invece, che poco si sta comprendendo dal fronte occidentale è come l’aumento di una sindrome da accerchiamento – o meglio come potrebbe definirsi la sensazione claustrofobica che caratterizza il mondo russo da sempre – non porterà a un arretramento delle posizioni, ma potrebbe condurre ad una overreaction più forte di quella vista sino ad ora.
L’illusione del cambio di regime dal basso
Come le forti sanzioni non porteranno masse di cittadini – antropologicamente e storicamente recalcitranti – a scendere in strada per protestare contro le scelte della leadership, spingendo ad un cambio di regime dal basso.
Il tentativo francese di cercare una de-escalation attraverso il colloquio telefonico Putin-Macron, a margine dei colloqui, pare più il tentativo disperato dell’Eliseo di accreditarsi almeno una vittoria simbolica in una campagna elettorale che porterà al primo turno del 10 aprile.
Il ruolo chiave della Cina
In questo contesto se l’Europa cerca la pace, non può farlo attraverso la guerra, ma deve coinvolgere – scomodamente a suo modo di vedere – attori che potranno ottenere un vantaggio competitivo. A Pechino il conflitto giova – nel breve periodo – a Bruxelles no.
Portare la Cina al tavolo potrebbe apparire come una sconfitta. Ma si sa che nelle partite a scacchi si vince con l’ultima mossa, non con la prima.