Sicurezza per il pubblico, per la città, per gli artisti e anche equità di trattamento con cinema e teatri che rimangono chiusi nonostante il rispetto delle distanze di sicurezza. Ma perché semplicemente non rinviare?
Sono solo canzonette? Eh, mica tanto. Non si spiegherebbe altrimenti la rivolta di buona parte del mondo della cultura e dello spettacolo, in vista di un Sanremo che gli organizzatori vorrebbero (o meglio, volevano) aperto al pubblico come se nulla fosse.

L’ipotesi pare scongiurata per motivi di sicurezza. Così com’era naufragata miseramente la davvero poco geniale idea di stipare il pubblico dell’Ariston su una nave da crociera alla fine di ogni serata.
Le ultime news segnalano che solo figuranti (appositamente scritturati come negli studi dei programmi televisivi) saranno ammessi in teatro.
La questione pubblico, ma perché Sanremo sì e teatro e cinema no?
Ma a poco più di un mese dal via (inizio ufficiale il 2 marzo) il dibattito si fa infuocato, come se tra l’altro l’Italia non avesse altro a cui pensare.
Vabbè che Sanremo è Sanremo, ma come giustificare cinema, teatri, sale di musica e di concerti sbarrati causa Covid e assistere invece alla sagra della canzone italiana libera e bella da ogni restrizione? I mugugni, diventati vere e proprie proteste, sono iniziati giorni fa.
Il mondo dello spettacolo chiede equità
Tra i primi ad alzare la voce l’attore e regista Moni Ovadia: “Se il Festival è più importante della cultura allora questo Paese è perso per sempre”.
Si è aggiunta anche la regista impegnata Emma Dante: “Se si concede il pubblico a Sanremo, allora si riaprono anche cinema e teatri, è pacifico”.
Poi è arrivato Renzo Arbore, che di eventi televisivi se ne intende, ad avvisare: “Il Festival faccia di necessità virtù”.
Ma anche cantanti popolari come Albano hanno lanciato messaggi duri o forse semplicemente legati al buonsenso: “Ma non sarebbe meglio rinviarlo a tempi migliori questo Sanremo?”.
Una questione di sicurezza anche per la città di Sanremo

Che pasticcio. Che caos. Anche perché, a parte gli aficionados sempre disposti a pagare cifre record per mettersi in mostra in platea, c’è da tutelare la salute dei fan che si accalcano alle transenne e affollano strade e piazze della città dei fiori (o dei tamponi) e pure degli artisti.
Per quanto riguarda questi ultimi, Enzo Mazza della Fimi (Federazione dell’industria musicale italiana) ha ribadito che loro ci saranno solo all’interno di un protocollo di massima sicurezza. “Esclusi per i nostri artisti red carpet, stand, interviste. Tutto dovrà avvenire in streaming”. Anche la famosa sala stampa non potrà ammettere, si apprende, più di ottanta giornalisti (con quali criteri gli accrediti?).
E mentre il prefetto Alberto Intini, dopo un incontro con la Rai, ha troncato ogni dubbio specificando che Sanremo non sarà un evento pubblico così come dispone il Dpcm in vigore fino al 5 marzo (ma la serata finale è il 6, eheh!), si sentiva la mancanza del Codacons che minaccia ricorsi al Tar.
Introiti irrinunciabili per la Rai
Insomma, comunque vada non sarà un successo questo Festival nato sotto un cattivo virus. Il problema è che il carrozzone musicale porta nella casse della Rai introiti irrinunciabili: Sanremo vale tra i 20 e i 25 milioni di euro di pubblicità (addirittura 37 l’anno scorso grazie alla ora riconfermata coppia Amadeus-Fiorello).
Rinviarlo poi non è facile, sempre per ragioni legate agli inserzionisti che non vogliono rinunciare a giornate d’oro per l’audience. Anche gli sponsor iniziano a sentire puzza di bruciato: con il palco-spettacolo di piazza Colombo tagliato, fonte Dagospia spiffera che uno sponsor famoso avrebbe fatto sapere alla Rai di scordarseli i 10 milioni promessi. Che dire? Non resta che seguire notizie, smentite e colpi di scena. Nei prossimi giorni non mancheranno.
[…] Qui stanno nascendo gruppi di ascolto per commentare Sanremo, e altro che polemica sul pubblico (leggi il pezzo di Silvia Golfari sul pasticcio del Festival). […]